Approfondimenti e Patologie

Sindrome di Kawasaki e Coronavirus

Nelle ultime settimane i pediatri di vari istituti hanno osservato un incremento nei casi di Malattia di Kawasaki, una sindrome infiammatoria dei vasi sanguigni (vasculite) che colpisce principalmente i bambini  al di sotto dei cinque anni di età. Si ritiene possa esservi uno stretto legame con la pandemia di Coronavirus SARS-CoV-2.

I pediatri di alcuni ospedali londinesi e del Nord Italia, tra i quali il Papa Giovanni XXIII di Bergamo, nelle ultime settimane hanno osservato un incremento nel numero di casi di bambini affetti da Malattia di Kawasaki.  L’incidenza rilevata da alcuni specialisti è risultata essere persino 30 volte superiore a quella del passato, con un numero di casi concentrati in un mese pari a quello dei tre anni precedenti. Poiché una percentuale significativa dei bambini con Malattia di Kawasaki è risultata positiva al Covid-19  al tampone rino-faringeo e, come sottolineato dalla Pediatric Intensive Care Society, un’altra quota sensibile presenta anticorpi con valori elevati rilevati dai test sierologici, si ritiene quindi che possa esservi uno stretto legame tra l’infezione scatenata dal patogeno emerso in Cina e la Malattia di Kawasaki, così chiamata poiché descritta per la prima volta (nel 1967) dal pediatra giapponese Tomisaku Kawasaki.

STUDIO:

– Lo studio ha analizzato 10 casi di bambini con sintomi simili alla malattia di Kawasaki arrivati al Papa Giovanni XXIII tra il 1° marzo e il 20 aprile 2020. Nei 5 anni precedenti la malattia era stata diagnosticata a soli 19 bambini. Un aumento dei casi pari a 30 volte, anche se i ricercatori avvertano che è difficile trarre conclusioni definitive con numeri così piccoli.

È stato pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet lo studio condotto dalla Pediatria dell’Ospedale di Bergamo sul legame tra Covid-19 e la malattia di Kawasaki, rara malattia infiammatoria. Lo studio ha analizzato 10 casi di bambini con sintomi simili alla malattia di Kawasaki arrivati al Papa Giovanni XXIII tra il 1° marzo e il 20 aprile 2020. Nei 5 anni precedenti questa malattia era stata diagnosticata a soli 19 bambini. Un aumento dei casi pari a 30 volte, segnalato già nelle scorse settimane, anche se dai ricercatori arriva un avvertimento:

 è difficile trarre conclusioni definitive con numeri così piccoli . Otto dei 10 bambini sono risultati positivi al virus SARS-Coronavirus-2 (SARS-CoV-2). Tutti i bambini dello studio sono sopravvissuti, ma quelli che si sono ammalati durante la pandemia hanno mostrato sintomi più gravi di quelli diagnosticati nei cinque anni precedenti.

 La malattia di Kawasaki è una condizione rara che colpisce in genere i bambini di età inferiore ai cinque anni e che causa l’infiammazione dei vasi sanguigni di medio calibro, ricorda una nota del Papa Giovanni XXIII: “I sintomi tipici includono febbre ed eruzione cutanea, occhi rossi, labbra o bocca secche, arrossamenti sul palmo delle mani e sulla pianta dei piedi e rigonfiamento di linfonodi. In genere, circa un quarto dei bambini affetti presenta complicazioni a livello delle arterie coronarie, ma la condizione si risolve rapidamente e praticamente in tutti i bambini, se trattata in modo appropriato in ospedale. Non è noto cosa scateni la malattia, ma si ritiene che si tratti di una reazione immunologica anormale successiva ad un’infezione”.

“Abbiamo notato un aumento del numero di bambini arrivati al nostro ospedale con una condizione infiammatoria simile alla malattia di Kawasaki nel periodo in cui l’epidemia di SARS-CoV-2 stava prendendo piede nella nostra regione – ha spiegato Lucio Verdoni, primo autore dello studio – sebbene questa complicazione rimanga molto rara, il nostro studio fornisce ulteriori prove su come il virus possa causare nei bambini diversi tipi di patologie. Nonostante la condizione rimanga rara, questo riscontro dovrebbe essere preso in considerazione quando si considera l’allentamento delle misure di allontanamento sociale, come la riapertura delle scuole”. 

I pediatri del Papa Giovanni hanno effettuato uno studio retrospettivo su tutti i 29 bambini ricoverati con sintomi della malattia di Kawasaki dal 1 ° Gennaio 2015 al 20 Aprile 2020. 

Prima del marzo 2020 l’ospedale curava un caso di malattia di Kawasaki ogni tre mesi. Durante i mesi di marzo e aprile 2020, dopo l’insorgenza dell’epidemia di COVID-19, i bambini trattati sono stati 10, e ad oggi sono aumentati a 20. L’aumento non è spiegato da una crescita dei ricoveri ospedalieri, poiché il numero di pazienti ricoverati nei mesi di marzo e aprile 2020 è stato sei volte inferiore rispetto a prima che il virus fosse stato segnalato per la prima volta nell’area. 

I bambini che presentavano sintomi dopo il Marzo 2020 avevano in media qualche anno di più (età media 7,5 anni) rispetto al gruppo diagnosticato nei precedenti cinque anni (età media 3 anni). Inoltre manifestavano sintomi più gravi rispetto ai casi passati, con oltre la metà (60%, 6/10 casi) con complicanze cardiache, rispetto al solo 10% di quelli trattati prima della pandemia (2/19 casi). La metà dei bambini (5/10) presentava segni di sindrome da shock tossico, mentre nessuno dei bambini trattati prima del Marzo 2020 aveva questa complicanza. L’80% dei bambini (8/10) ha richiesto un trattamento aggiuntivo con steroidi, rispetto al 16% di quelli del gruppo storico (4/19). 

 I medici bergamaschi sostengono che, nel loro insieme, i loro risultati rappresentano un reale incremento dell’incidenza della malattia di Kawasaki associata all’epidemia da SARS-CoV-2. Tuttavia riportano che tale associazione va confermata in studi più ampi. “Ormai molti centri – ha dichiarato Lorenzo D’Antiga, direttore della Pediatria del Papa Giovanni XXIII di Bergamo – iniziano a riportare casi di bambini che arrivano in ospedale con segni di malattia di Kawasaki in altre aree colpite duramente dal COVID -19, tra cui New York e l’Inghilterra sud-orientale .Il nostro studio fornisce la prima chiara evidenza di un legame tra l’infezione da SARS-CoV-2 e questa condizione infiammatoria e speriamo che possa aiutare i medici di tutto il mondo a riconoscere e trattare prontamente questi pazienti, mentre proviamo a fare i conti con questo virus sconosciuto”. 

“Nella nostra esperienza, solo una percentuale molto piccola di bambini infetti da SARS-CoV-2 sviluppa sintomi della malattia di Kawasaki – ha concluso Angelo Mazza, un altro autore dello studio e pediatra all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo – tuttavia, è importante comprendere le conseguenze del virus nei bambini, in particolare quando i paesi di tutto il mondo si confrontano con piani per iniziare a ridurre le politiche di allontanamento sociale”.

 Secondo la dottoressa Alessandra Marchesi, medico dell’Unità Operativa di Pediatria Generale e Malattie Infettive presso il Dipartimento di Medicina Pediatrica IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, oltre che responsabile di alta specializzazione sulla Malattia di Kawasaki, ha sottolineato, che i colleghi del Nord Italia hanno visto un incremento dei pazienti affetti da Kawasaki, in particolar modo nelle zone di Bergamo. Già per la zona di Genova ci siamo confrontati con il dottor Ravelli, che è il presidente del gruppo di studi di reumatologia pediatrica della Società Italiana di Pediatria, e lui non ha visto un aumento così importante nel numero di casi di Kawasaki. Qui da noi a Roma, nel nostro ospedale, non c’è stato un aumento del numero di casi. In realtà noi abbiamo in questo periodo un numero praticamente simile all’atteso degli anni precedenti, con casi di una gravità e complessità sovrapponibili ai casi precedenti. Abbiamo una bambina che è andata in rianimazione, ma anche in passato abbiamo avuto pazienti che sono andati in terapia intensiva. Quindi dal punto di vista epidemiologico la situazione di Roma è sicuramente non così importante non come quella di altre regioni d’Italia. Il gruppo però si è attivato per cercare di raccogliere e selezionare casi che possiamo tutti quanti noi osservare, soprattutto quelli più complicati, per cercare di dare una spiegazione a quella che definirei essere una impressione. Al momento non possiamo dare nessun tipo di spiegazione causa-effetto tra COVID e Kawasaki, perché non abbiamo i dati. Sappiamo che magari pazienti COVID positivi a Bergamo hanno sviluppato anche la Kawasaki e che c’è stato un aumento dell’incidenza, però bisognerà studiare meglio i meccanismi sottostanti.

Questa  malattia  ha un substrato sicuramente di genetico, perché sappiamo che ci sono casi familiari dimostrati qua da noi e ancora meglio in Giappone, ma è noto  che c’è un trigger infettivo che la scatena. Per cui forse  c’è un trigger infettivo della Kawasaki che poi è rappresentato dal Coronavirus.

Questo possibile legame è stato osservato anche dai pediatri di Londra, però è tutto da dimostrare. Forse è necessario trovare una correlazione più forte della semplice osservazione.

Che cos’è la malattia di Kawasaki?

È una vasculite, un’infiammazione dei vasi, di tutti i vasi dell’organismo, quindi si chiama vasculite sistemica. Colpisce prevalentemente bambini sotto i cinque anni, ma non solo. Sono stati descritti casi in pazienti più grandi, in pazienti adolescenti, in pazienti adulti. Non ha purtroppo un marker specifico di diagnosi, per cui è una malattia che viene diagnosticata semplicemente sulla base di criteri clinici-diagnostici, e sulla base di questi criteri si distinguono poi le forme di cui abbiamo già magari sentito parlare. Quelle complete che hanno 4-5 criteri, oppure le forme incomplete che ne hanno semplicemente 2 o 3. E poi le forme “strane”, cosiddette atipiche.

I sintomi  sono rappresentati da febbre, che deve durare da più di cinque giorni. Arrossamento delle congiuntive senza la secrezione, questo è importante. Alterazioni delle labbra, della bocca, quindi labbra spaccate (in gergo cheilite). Rash cutaneo, quindi arrossamento cutaneo, eruzioni cutanee, che però non sono caratteristiche; possono essere simili al morbillo, alla scarlattina, all’orticaria, quindi purtroppo è un rash polimorfo dal punto di vista della diagnosi. Poi c’è un’alterazione a carico dei linfonodi del collo, un ingrossamento in genere monolaterale e non bilaterale. Questo è abbastanza caratteristico. E poi c’è un’alterazione a carico delle mani e dei piedi, un arrossamento del palmo della mano e della pianta dei piedi, un edema duro, quindi un indurimento delle mani e dei piedi, e ci può essere anche un interessamento della zona perianale, diciamo “del pannolino”. La cosa importante di per sé è che si tratta di una malattia che si auto limita, quindi questi segni e sintomi se non trattati possono anche scomparire. Il rischio però è che ci possono essere delle complicanze, complicanze sui vasi, soprattutto sulle coronarie, che possono presentare delle dilatazioni.

In media se non trattata la febbre dura una decina, undici, dodici, quindici giorni. Ma ormai in tutto il mondo siamo abbastanza bravi a riconoscerla e a trattarla precocemente, proprio per evitare che ci siano queste complicanze coronariche.

C’è una cura per la malattia di Kawasaki?

Certamente!!  La terapia è rappresentata principalmente da immunoglobuline e aspirina. In alcuni casi selezionati ci può essere la terapia con cortisone oppure più complessa nei casi più resistenti, nei quali la febbre, nonostante la somministrazione delle immunoglobuline, tende a rimanere.

 Ci sono purtroppo anche dei casi letali, ma il rischio di mortalità è molto, molto basso. C’è un rischio di morte nell’immediato che è principalmente nei primi 45 giorni, come descritto in letteratura. Nei pazienti che sviluppano complicanze, cioè dilatazioni coronariche, è correlato ovviamente all’entità stessa della dilatazione, dunque può verificarsi anche successivamente.

In Italia non ci sono degli studi epidemiologici forti, per cui i dati sono molto vecchi e neanche riferibili. Però in realtà prima era considerata tra le malattie rare, e adesso con la revisione dei livelli di LEA è stata tolta da questo elenco. Per cui l’incidenza è aumentata, ma molto probabilmente non è aumentata solamente l’incidenza, ma anche la capacità diagnostica su questa malattia. Molto spesso in passato si parlava di semplici virosi.

Quindi, è probabile che  il Coronavirus possa giocare un ruolo nell’emersione della Kawasaki.

 Il trigger infettivo lo conosciamo e lo stiamo cercando da tanto tempo, per cui può anche essere che il Coronavirus sia un possibile trigger.

 Una cosa fondamentale è che c’è una disregolazione nella risposta immunitaria, perché non tutti i pazienti che sviluppano l’infezione sviluppano poi la Kawasaki. Vuol dire che qualcosa non va tra il mio sistema immunitario e la risposta al virus stesso. Questa correlazione va cercata e studiata.

Una correlazione del genere è emersa anche con la SARS e la MERS? Dato che sono provocate da virus simili al SARS-CoV-2?

Sicuramente non ci sono state delle discussioni da questo punto di vista. Anche perché in realtà, tutto sommato l’incidenza era inferiore.

All’inizio di questa pandemia si sapeva dai dati cinesi che i bambini sembravano essere addirittura risparmiati. I dati riportati in letteratura davano un solo decesso tra pazienti di età pediatrica. Sicuramente l’incremento del numero di casi di SARS-CoV-2 ha aumentato ovviamente anche lo spettro sulla parte pediatrica.

A cura della Dott.ssa Isabella De Felici

Dr.ssa De Felici
Dr.ssa De Felici
Dirigente di I° Livello UOC di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva Ospedale Sandro Pertini

Mostra
Nascondi