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Scienza e Farmaci COVID-19 e comorbidità, per non abbassare la guardia

I dati finora disponibili, sia italiani che cinesi, ci dicono chiaramente che, insieme ad una patologia polmonare preesistente, il rischio di aggravamento e di mortalità è condizionato pesantemente dalla presenza di una comorbidità cardiovascolare, metabolica e renale, spesso concomitanti e con effetto fra loro interattivo sinergico, in particolare nella popolazione anziana.

Pur nella necessità assoluta di fronteggiare l’emergenza in terapia intensiva, se vogliamo prevenire oltre che curare, non possiamo centrare l’approccio sanitario solo sull’effetto ma occorre una attenzione alle cause
Il recente Report dell‘ISS sulle caratteristiche dei primi 2.003 pazienti deceduti positivi a COVID-19 in Italia, basato sui dati aggiornati al 17 Marzo 2020, offre importanti informazioni sulle caratteristiche delle persone decedute, inclusa la distribuzione per le più comuni patologie croniche pre-esistenti (diagnosticate prima di contrarre l’infezione) nei pazienti deceduti.
Questo dato, seppure ottenuto analizzando le cartelle cliniche di soli 355 deceduti (17,7% del totale) offre a nostro parere lo spunto per qualche prima considerazione.

Tra i molti articoli scientifici già pubblicati sulla infezione COVID-19 emerge, tra l’ altro, una stretta relazione tra infezione virale e sistema cardiovascolare, sia in termini di fattori cardiovascolari predisponenti all’infezione, sia in termini di complicanze cardiovascolari indotte dall’infezione stessa.
Per quanto riguarda i fattori predisponenti all’infezione, i risultati pubblicati sull’esperienza cinese mostrano che tra le principali comorbidità in grado di renderci più fragili all’infezione le più frequenti  sono l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito e pregresse/concomitanti patologie cerebro e cardiovascolari. In particolare, una metanalisi che ha incluso 5 studi e 1.527 pazienti ha osservato che l’incidenza di ipertensione, di malattie pregresse cardio e cerebrovascolari e di diabete era, rispettivamente, 17%, 16% e 9.7%. Nei pazienti ricoverati in unità di cura intensiva rispetto a quelli ricoverati in unità sub-intensiva  la proporzione di ipertensione era doppia, tripla per le malattie cardio e cerebro vascolari e doppia per il diabete. Questi dati sono in linea con il quadro di comorbidità riportato nel Report dell’ISS.

Si sa che, il COVID19 colpisce l’apparato respiratorio con sintomi più frequenti costituiti da tosse secca, dispnea, affaticamento associati a mialgie, anoressia e febbre; nelle forme gravi, corrispondenti a circa il 10% dei casi, può causare una polmonite interstiziale bilaterale con conseguente insufficienza respiratoria grave che richiede assistenza meccanica respiratoria, e, quindi, ricovero in unità di cura intensiva o di rianimazione.
Riteniamo importante evidenziare che a fronte di un impegno polmonare dominante, l’impegno cardiovascolare può coesistere in una percentuale considerevole di pazienti, come evidenziato dai dati del Report ISS. L’interessamento cardiaco, peraltro, ha un impatto clinico rilevante perché può avere valore additivo nell’aggravare il ridotto apporto di ossigeno ai tessuti e organi già provocato dall’insufficienza respiratoria.
Diversi studi, ricavati dalla recente diffusione del virus a Wuhan, in Cina, hanno dimostrato l’impegno cardiaco, sia in termini di danno miocardico e di aritmie, queste ultime secondarie al danno miocardico. In questi studi, il danno miocardico è stato valutato attraverso il dosaggio della troponina, che è un enzima il cui aumento nel circolo sanguigno è diagnostico di danno miocardico, oppure attraverso la comparsa di alterazioni all’elettrocardiogramma o all’ecocardiogramma. In particolare, è stato osservato che l’incidenza di danno miocardico o di aritmie è maggiore nei pazienti colpiti da COVID-19 più gravi ricoverati in unità di cura intensiva oppure in pazienti deceduti.

Questi dati, frutto di studi monocentrici su una popolazione arruolata non numerosa, sono stati confermati da una metaanalisi su 1.527 pazienti positivi a COVID-19, i cui risultati mostrano che l’8% di questi pazienti presentano complicanze cardiache e che l’incidenza di queste è 13 volte circa superiore nei pazienti gravi ricoverati in unità intensiva rispetto a quelli che non lo sono. Resta da stabilire il tipo di danno miocardico, vale a dire se si tratta di un danno di tipo ischemico, quindi legato ad una occlusione di un’arteria del cuore, oppure di natura infiammatoria,  a tipo miocardite. I dati attuali non specificano la natura del danno.
Comunque, se consideriamo i potenziali meccanismi fisiopatologici che possono causare complicanze cardiache in pazienti affetti da COVID-19, non possono essere esclusi i due tipi di danno miocardico sopra-riportati.
Infatti tra i potenziali meccanismi fisiopatologici sono annoverati:

1) l’eccessiva attivazione dei fattori pro-infiammatori (stormo citochimico); l’attivazione eccessiva delle citochine pro-infiammatorie, IL1B, IL6, IL12, IFNγ, IP10, and MCP1 è associata ad esteso danno polmonare e quindi ad un quadro clinico più grave;

2) l’attivazione dell’attività pro-coagulante; in questi pazienti, la concentrazione di D-dimero, prodotto di degradazione della fibrina ed indice di attivazione della coagulazione, è aumentata ed è un fattore predittivo di gravità della malattia;

3) Il virus COVID-19 utilizza come punto di ingresso cellulare, l’ACE 2, enzima di conversione dell’angiotensina 2 che converte l’angiotensina II in angiotensina 1-7.
Questo enzima è largamente espresso sulle cellule endoteliali del cuore e del polmone. Un’aumentata espressione di questo enzima potrebbe facilitare la diffusione intracellulare e la replicazione del virus portatore della malattia COVID-19.

Pertanto, ai fini pratici alla luce del numero considerevole delle complicanze cardiache, che possono aggravare il quadro clinico in aggiunta all’insufficienza respiratoria, è auspicabile una valutazione cardiologica di base che comprenda il dosaggio delle variabili bioumorali di danno miocardico (troponina e BNP) e l’esecuzione di un elettrocardiogramma e di un ecocardiogramma per evidenziare eventuali danni del miocardio e valutare la funzione contrattile del cuore, in particolare nei pazienti gravi che richiedono cure intensive. In materia, i documenti guida e i materiali messi già a disposizione dall’ANMCO sono di rilievo e utilità (http://www.anmco.it).
Siamo di fronte ad una situazione così complessa per la quale non abbiamo ancora conoscenze complete per la gestione unitaria del sistema sanitario, oltre alle enormi difficoltà sul piano economico e sociale, tuttavia è in atto uno sforzo comune per fare il meglio sia sul versante della prevenzione e delle cure sia della programmazione sanitaria.

I dati finora disponibili, sia italiani che cinesi, ci dicono chiaramente che, insieme ad una patologia polmonare preesistente, il rischio di aggravamento e di mortalità è condizionato pesantemente dalla presenza di una comorbidità cardiovascolare, metabolica e renale, spesso concomitanti e con effetto fra loro interattivo sinergico, in particolare nella popolazione anziana. Pur nella necessità assoluta di fronteggiare l’emergenza in terapia intensiva, se vogliamo prevenire oltre che curare, non possiamo centrare l’approccio sanitario solo sull’effetto ma occorre una attenzione alle cause.
Conseguentemente dobbiamo fare il massimo sforzo per non allentare il sistema di monitoraggio attivo di quelle patologie cardio-nefro-metaboliche che rappresentano la condizione di fragilità  favorente aggravamento e decesso. Seppure ci troviamo in fase emergenziale sul COVID-19, è possibile attivare sistemi di controllo, affiancando a quelli ambulatoriali le risorse offerte da telemedicina e teleconsulto ed altre forme di E-Health.

La posta in gioco è alta e le scelte sono urgenti ed improcrastinabili per evitare che una fase critica, che si annuncia lunga, impatti negativamente su morbosità e mortalità per malattie già ben conosciute, oggi fortemente associate anche a COVID-19.
In considerazione della gravità del quadro clinico e dello sconvolgimento sociale, riteniamo auspicabile un coordinamento multidisciplinare in cui le competenze tecniche di intervento sanitario e di gestione sociale che mirino alla cura del paziente ed alla prevenzione della malattia COVID-19, attraverso la riduzione del contagio, agiscano in modo sinergico con gli istituti di ricerca per un’accurata analisi dei dati clinici, terapeutici ed epidemiologici del CODIV19.

Alessandro Pingitore, Fabrizio Bianchi, Giorgio Iervasi
Istituto di Fisiologia Clinica del CNR, Pisa

Da  QS Edizioni – giovedì 2 aprile 2020

Referenze
1. Wang D, Hu B, Hu C et al. Clinical characteristics of 138 hospitalized patients with 2019 novel coronavirus-infected pneumonia in Wuhan, China. JAMA. 2020;323(11):1061-1069. doi:10.1001/jama.2020.1585
2. Huang C, Wang Y, Li X et al. Clinical features of patients infected with 2019 novel coronavirus in Wuhan, China. Lancet. 2020;395:497-506. DOI: 10.1016/S0140-6736(20)30183-5
3. Zheng YY, Ma YT, Zhang JY, et al. COVID-19 and the cardiovascular system. Nat Rev Cardiol 2020. DOI: 10.1038/s41569-020-0360-5
4. Li B, Yang J, Zhao F et al. Prevalence and impact of cardiovascular metabolic diseases on COVID-19 in China. Clin Res Cardiol 2020. DOI: 10.1007/s00392-020-01626-9

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